Sideloading: cos’è e perché Apple vuol difendere l’esclusività dell’App Store

SmartWorld team
SmartWorld team
Sideloading: cos’è e perché Apple vuol difendere l’esclusività dell’App Store

Apple continua a rifiutare la pratica del sideloading nonostante i venti di guerra che soffiano da più parti. È l’argomento caldo degli ultimi giorni e probabilmente lo sarà fintantoché i giudici non prenderanno posizione nella battaglia legale innescata tra il gigante di Cupertino ed Epic Games, che pure tocca incidentalmente il tema. Con conseguenze che si preannunciano rivoluzionarie in un senso o nell’altro. Il sideloading sta tenendo banco sul web, dividendo esperti ma anche semplici utenti disinteressati: c’è chi lo rigetta con forza, conformandosi alla posizione di Apple, e chi invece vorrebbe sfruttarlo, strizzando l’occhio al nuovo Digital Market Act al vaglio della Commissione europea. 

Cos’è il sideloading

Sideloading cos'è

Fonte foto Adobe Stock

Vale la pena compiere un passo indietro a beneficio di chi sconosce l’argomento. Con il termine “sideloading” s’intende la possibilità di scaricare e installare applicazioni su iPhone e iPad attingendo ad uno store o ad un sito di terze parti.

Verrebbe insomma meno il “filtro” dell’App Store (il negozio ufficiale realizzato da Apple dove convergono tutti i programmi disponibili per smartphone e tablet della “mela”, ndr), con vantaggi e svantaggi che chiamano in causa questioni egualmente centrali: tra i primi figura certamente un maggior potere di scelta dell’utente, mentre sul fronte opposto si segnala un teorico calo della sicurezza. Ed è proprio questo il motivo per cui il sodalizio americano guidato da Tim Cook ha finora respinto al mittente qualsivoglia ipotesi di adozione del sideload sui propri dispositivi mobili (su Mac è diverso, e lo vedremo appresso).

Nell’intermezzo si collocano anche questioni di taglio economico. Tra i favorevoli al sideloading ci sono soprattutto gli sviluppatori, che da tempo lamentano – quantomeno quelli che muovono capitali di una certa importanza – le commissioni applicate da Apple sulle transazioni effettuate tramite l’App Store.

In quest’ottica, Epic Games è tra le società che hanno fattivamente preso posizione sull’argomento: dopo aver approntato uno stratagemma per bypassare le commissioni, la compagine fondatrice del popolare videogioco Fortnite ha dovuto subire la decisione di Apple che ha portato alla rimozione dell’appena richiamata app sullo store ufficiale. La risposta non si è fatta attendere: il gigante di Cupertino è stato trascinato in tribunale con l’accusa di abuso dominante e concorrenza sleale. E dentro a questa battaglia si sono schierati anche altri “ribelli”, pronti a sostenere le ragioni di Epic Games: si tratta di Spotify e Match Group, controllante dell’app Tinder. La sentenza è attesa ad agosto, con effetti certamente significativi. 

Appare evidente che a far presa sul tema del sideloading c’è soprattutto il discorso economico. Gli sviluppatori devono sottostare alle rigide condizioni imposte da Apple (non ultima la funzione dell’App Tracking Transparency, che ha fatto infuriare Mark Zuckerberg) per la pubblicazione delle proprie applicazioni sullo store, ma anche riconoscere alla società di Cupertino degli emolumenti: un costo annuale e una percentuale sulle transazioni effettuate tramite l’App Store, corrispondenti al 30% per le app e per gli acquisti in-app, dimezzati al 15% dopo il primo anno.

E’ pur vero che Apple ha previsto dei trattamenti di favore per gli sviluppatori con un giro d’affari inferiore al milione di dollari all’anno.

Le motivazioni di Apple e il confronto con Android

Un white paper condensa emblematicamente la posizione di Apple sul discorso sideload. A giudizio della società americana, l’apertura verso altri store comporterebbe soltanto svantaggi per l’utente finale, esposto alla mercé dei malintenzionati e di variegati stratagemmi che potrebbero squarciare la sicurezza dei dati personali: aumenterebbero insomma i malware e i rischi per la privacy. Apple ha citato alcuni dati al fine di render meno aleatorio il discorso e avvalorare al tempo stesso i propri ragionamenti: soltanto nel 2020, pare che siano state bloccate – e perciò non pubblicate sull’App Store – un milione di app controverse e messe al bando transazioni fraudolente per un ammontare complessivo di 1,5 miliardi di dollari. 

C’è anche un fattore non richiamato espressamente dal sodalizio di Cupertino ma che pure potrebbe inquadrarsi tra gli argomenti in senso contrario al sideloading: l’incremento della pirateria e della contraffazione.

Rimuovere il dominio esclusivo dell’App Store potrebbe far da incentivo per il proliferare di applicazioni fake su siti e piattaforme di terze parti, aventi l’esclusivo obiettivo di diffondere virus: una volta installata sullo smartphone o sul tablet, l’app può iniettare il payload del malware sul dispositivo bersaglio.

E qui entra in gioco Android, il sistema operativo più diffuso al mondo. Google non ha rigettato la pratica del sideloading, ma appare evidente che l’apprezzata apertura del “robottino verde” deve fare i conti con una minor dose di sicurezza. Lo confermano i casi di malware che talvolta imperversano sul web, nella maggior parte dei casi riconducibili a false app (soprattutto quelle legate ai servizi VPN e antivirus, con evidente paradosso) pubblicate su store e piattaforme terze. La stessa Apple, per il tramite del suo amministratore delegato, ha utilizzato alcuni dati per dar sostegno alle proprie argomentazioni: “il numero di malware presenti su Android è 47 volte maggiore se confrontato con iOS”, aveva affermato in un’intervista Tim Cook.

La rigorosa chiusura dell’App Store permetterebbe dunque di ridurre all’osso i fenomeni di esposizione contro i virus: le applicazioni vengono infatti controllate per intero, evitando la pubblicazione di contenuti gravati da malware. Tutto questo non sarebbe possibile in presenza di piattaforme di terze parti, così come non potrebbe esserci un controllo a monte sul rispetto delle autorizzazioni per l’utilizzo di determinati servizi (come il microfono o la fotocamera degli iPhone), che resta affidato all’utente.

Le pressioni della Commissione europea

Apple sembra comunque esser attaccata su due fronti rispetto al tema del sideloading. Abbiamo parlato della controversia legale intentata da Epic Games, ma a questa deve adesso aggiungersi il Digital Markets Act sul quale sta ragionando la Commissione europea. Si tratta di una proposta di regolamentazione dell’industria tecnologica che però non sembra aver (parzialmente) trovato i favori di Apple, come evidenziano alcune dichiarazioni provenienti dal suo amministratore delegato.

Tre sono i punti cardine del progetto dell’UE: 

  • il divieto di creazione dei cosiddetti “bloatware”, ossia quei programmi pre-installati sugli smartphone e tablet e impossibili da rimuovere se non con i permessi di root
  • Parità di posizione tra app proprietarie e quelle di terze parti, con le prime che non potranno essere collocate in modo preminente all’interno degli store, incentivandone il download
  • Lo sblocco del sideloading

L’iter legislativo è tuttavia ancora piuttosto lungo e non è da escludere che l’ambizioso obiettivo dei vertici dell’Unione Europea possa ridimensionarsi strada facendo.

La diversa posizione di Apple sui Mac

Apple si è detta contraria al processo di sideloading sui suoi dispositivi mobili, eppure tale pratica non è affatto proibita su MacOS. Il sistema operativo progettato da Cupertino per i suoi PC ha certamente uno store proprietario, ma permette al tempo stesso il download delle app anche tramite store e siti di terze parti. Un paradosso?

La risposta ha argomentazioni che toccano anche la matematica: come spiegato dalla stessa Apple, il commercio degli iPhone è notevolmente maggiore dei Mac.

Ma c’è anche un’altra considerazione: probabilmente l’iPhone è portatore di dati più sensibili rispetto a quelli dei PC, in quanto trattasi dello strumento per antonomasia utilizzabile in qualsiasi momento, anche in ragione della sua tascabilità (sacrificata negli ultimi anni dalla quantità di “padelloni” in commercio, ma questo è un altro discorso).